LA RICERCA
SUGLI EDUCATORI CHE LAVORANO NEL CAMPO DELLE DIPENDENZE
La ricerca è attualmente in pieno svolgimento, fa parte delle attività culturali sostenute dalla Fondazione, nasce con un finanziamento sul bilancio del 2014 e prosegue sui bilanci delle annualità successive fino ad oggi.
Come è nel nostro stile quando si tratta di finanziare attività, anche questa volta abbiamo puntato sulla qualità. Dovendo ben dosare le nostre risorse limitate, abbiamo sempre cercato di realizzare interventi che avessero un’attenzione all’estetica (come l’attività teatrale), per proporci in maniera accattivante e contemporaneamente di buon livello, ma, soprattutto, uno spessore culturale.
L’idea portante di questa ricerca è stata sostenere il precariato giovanile; per evitare di chiuderci nell’ambito dei ricordi (pur senza continuare ad abitarlo, vedi l’evento del 30 marzo ’19), attualizzando invece il nostro intervento, in coerenza con l’azione di “Cespuglio” che fu costantemente rivolta alle contraddizioni della società del suo tempo, con lo sguardo sempre rivolto al futuro; quindi abbiamo pensato di realizzare qualcosa che fosse in continuità con la vita di “Cespuglio”, con un modo di lavorare che andasse oltre il quotidiano, immerso nelle problematiche sociali in divenire.
In questo senso ci siamo orientati a intervenire nel campo del precariato e nel campo del sociale. Il sostegno non è andato a un precariato generico, ma a persone che puntano a un lavoro di qualità, che abbia un senso di promozione di attività sociali, che di questi tempi faticano non solo a svilupparsi, ma anche a sopravvivere.
Ci siamo quindi mossi nella duplice direzione dei giovani ricercatori universitari precari, nel momento in cui svolgono attività rivolte ad approfondite il senso del lavoro nel sociale; il campo scelto è quello della cura dei tossicodipendenti, il filo conduttore è il tentativo di far emergere il senso educativo, con la speranza di scoprire un sapere sommerso che abita nelle pratiche, che è possibile valorizzare raccontando il lavoro di chi opera nel sociale.
La nostra scelta di sostenere il precariato impegnato in ricerche nel sociale è in linea con l’intenzione di evitare qualsiasi stile celebrativo, ma piuttosto di riproporre il modo di “Cespuglio” di affermare l’impegno, fatto di profondità, volontà di promozione e di giustizia, che si esprima in qualcosa di valido, ma anche emotivamente coinvolgente e per questo capace di “dire qualcosa”.
Attualmente il lavoro del privato–sociale nel campo delle dipendenze sta rischiando una marginalizzazione, per tanti motivi, tra questi:
– l’immissione sul mercato di sostanze che portano a dipendenze compatibili, per periodi anche lunghi, con una vita almeno apparentemente integrata;
– i tagli alla spesa pubblica;
– il tramonto di leader storici appetibili per i media.
Pur essendo al centro di queste problematiche, gli operatori di base, fra questi in prima linea gli educatori professionali, sono stati raramente interpellati.
La finalità di questa ricerca consiste nel tentativo di uscire dalla marginalizzazione, dando dignità al sapere costruito sul campo, attraverso una riflessione sul proprio lavoro, da parte degli educatori, e nel dare un’occasione e un sostegno, sia economico da parte della nostra Fondazione, che teorico, a livello inter-universitario, a chi è capace di portare uno spessore professionale di impegno, competenza e capacità di affrontare le dinamiche sociali cogliendone l’essenza.
Per le iniziative culturali precedenti, avevamo puntato su delle collaborazioni con associazioni a noi vicine, che sono risultate costruttive, per questo progetto, abbiamo allargato l’area al di fuori della cerchia delle realtà simili a noi, operando nella prospettiva di puntare in alto per qualificare l’intervento, ma rimanendo ancorati a criteri di qualità e serietà nelle collaborazioni, penso che questo sia coerente con le linee di intervento da sempre condivise.
La ricerca è stata condotta realizzando una collaborazione fra realtà diverse e riconosciute: ANEP (associazione di categoria degli educatori professionali), Università degli Studi di Milano, Università Cattolica, Università Milano Bicocca e Fondazione ESAE; con funzioni e responsabilità su diversi livelli.
Come primo passo sono stati coinvolti dei docenti che, per conoscenza personale pregressa e attinenza dei loro studi, fossero disponibili ad apportare il loro contributo teorico durante tutte le fasi; ne sono stati coinvolti quattro, delle tre differenti Università: Giovanni Valle, Sergio Tramma, Pergiorgio Reggio e Cristina Palmieri.
Poi si è cominciato a costruire un percorso di ricerca condiviso, focalizzando tre argomenti: la ricostruzione dell’esperienza professionale degli educatori, quali situazioni nuove pongono i cambiamenti degli utenti, col passare del tempo e con l’aggravarsi del fenomeno, per arrivare alla dimensione pedagogica dell’agire educativo. Su questi tre argomenti si è organizzato un Focus Group, coinvolgendo educatori di lunga esperienza, che fossero in grado di orientare la ricerca.
Contemporaneamente si è costituito il gruppo dei ricercatori, il loro numero si è ampliato nel corso del tempo, con l’aumentare del lavoro, arrivando a comprendere nove persone, la maggior parte di loro hanno collaborato per tutto il tempo, mentre altri, a seconda dei loro impegni, hanno limitato la loro partecipazione ad alcuni periodi; tutti avevano un rapporto di lavoro precario e sono stati scelti per la loro competenza professionale, nonché per l’interesse dimostrato rispetto agli argomenti trattati. Hanno lavorato sia mantenendo i contatti col coordinatore della ricerca e con gli altri componenti del gruppo, che coi docenti di riferimento, i quali li avevano indicati all’inizio. Quasi tutto il lavoro di contatti interni si è svolto on line, utilizzando principalmente gli indirizzi e-mail e una cartella drive per la raccolta e la condivisione del materiale.
Provenendo da tre Università differenti, ci si è posti il problema di uniformare pratiche e metodi, lo si è affrontato adottando la Grounded Theory come riferimento, senza seguirne tutti i passaggi, il che avrebbe richiesto energie ben superiori alle nostre, ma tenendola sullo sfondo per avere un riferimento metodologico condiviso. Si tratta di un metodo di ricerca statunitense che ha avuto la sua prima codificazione alla fine degli anni ’60 del secolo scorso ; un metodo che unisce il reperimento dei dati e l’elaborazione teorica che avviene in itinere, risolvendo la dicotomia tra l’accumulo dei dati e la loro interpretazione, costruendo una teoria radicata nei dati stessi. Questa quindi non è stata una ricerca svolta col metodo della Grounded Theory, ma qualcosa di nuovo, come lo può essere ogni ricerca qualitativa condotta con curiosità e serietà, che ha cercato di unire: raccolta competente di esperienze lavorative, riflessione sulle stesse da parte dei ricercatori e (in un secondo momento) dei docenti, condivisione dei risultati provvisori, che si traduceva in nuovi orientamenti di ricerca.
Il Focus Group ha fornito infatti dei temi, questi sono stati condensati e sviluppati in una traccia per la realizzazione di interviste semistrutturate, che cercassero di renderli espliciti: per prima cosa la specificità educativa del lavoro nelle dipendenze e la sua traduzione pratica; poi il secondo: come si è evoluto il lavoro educativo nell’ambito preso in esame e quali sono gli strumenti necessari oggi; inoltre il terzo: quale rapporto con altri professionisti e altre discipline; infine quali criticità e bisogni si possono riscontrare.
A questo punto si è delimitato l’ambito a Milano e dintorni e al privato – sociale, quindi si è partiti con i contatti. La costituzione del campione di educatori professionali disponibili per le interviste ha coinvolto le organizzazioni, che successivamente hanno indicato dei professionisti rappresentativi; tale attività ha richiesto mesi, per via della difficoltà a contattare persone che lavorano “all’angolo della gestione” e hanno veramente poco tempo da dedicare a fermarsi e riflettere, ma il desiderio di poter finalmente uscire dall’anonimato, di condividere le proprie esperienze e riflessioni ha prevalso e ha dato il risultato di una rosa di una cinquantina di contatti possibili. Vista l’ampiezza della risposta, si è cercato di operare delle scelte di rappresentatività e il più possibile di varietà, tenendo sempre presente la limitatezza delle risorse, costituite da ricercatori che necessariamente dovevano occuparsi di diversi lavori contemporaneamente; si è cercato di rappresentare generi e realtà differenti, in Servizi con impostazioni diverse, fatta salva, ancora una volta, la serietà degli stessi.
L’attività degli intervistatori ha risentito anch’essa della difficoltà a combinare gli impegni e gli appuntamenti, ma è riuscita comunque a realizzare una quindicina di interviste. Una quantità sufficiente per un’indagine approfondita che tenti di rendere esplicita quella cultura dell’intervento, quella pratica del prendersi cura, dell’accompagnamento educativo all’interno di un progetto tendente all’autonomia e all’equilibrio personale, che rende possibile l’accumularsi di una conoscenza in grado di divenire competenza nella pratica educativa.
Ogni ricercatore è stato invitato a produrre delle riflessioni “sul campo”, episodiche, ma importanti perché fissano delle impressioni, ricordano occasioni colte e difficoltà incontrate, che col passare del tempo e il riordino del materiale andrebbero perdute. Quasi contemporaneamente, come era avvenuto per il Focus Group, si è affrontata la mole di lavoro consistente nella sbobinatura delle registrazioni, il reperimento dei temi predefiniti all’interno dei testi, la condensazione degli stessi in una sistemazione di rapida consultabilità, per offrirla all’elaborazione teorica dei docenti.
Attualmente siamo nella fase in cui si stanno progettando le realizzazioni dei report di ricerca, i cui contenuti verranno pubblicati su questo sito, finalizzati alla redazione di articoli e pubblicazioni editoriali; sempre in coerenza col metodo di ricerca di tipo qualitativo, che risponde all’esigenza di mantenere il momento formativo e divulgativo il più possibile unito alla pratica operativa nel lavoro quotidiano.
10/2/19 Fabio Giovannoni